Lo spreco alimentare è un problema rilevante in termini economici e ambientali. Secondo uno studio pubblicato su Food Waste Management, una parte rilevante di frutta e verdura destinate al consumo umano è scartata per soli motivi estetici prima di entrare nel circuito della vendita al dettaglio. A titolo d’esempio, il 34,7 % delle mele prodotte in Cina è sottoposto a selezione estetica, con il 17,1 % di prodotto scartato benché edibile. Tale spreco non solo rappresenta una perdita economica, ma contribuisce anche a ingiustizie sociali e ambientali.

Parallelamente, l’Osservatorio Waste Watcher sullo spreco alimentare domestico ha rilevato che ogni italiano spreca quasi 700 g di cibo a settimana, oltre 35 kg all’anno. Si tratta di un ingente spreco alimentare, a livello nazionale quantificabile nella produzione derivante da circa due milioni di ettari messi a coltura e ad allevamento: in pratica, la superficie dell’intera Lituania. La campagna Spreco Zero, presentata in occasione della recente Giornata mondiale del suolo, ha in tal senso sottolineato l’importanza di misurare e monitorare l’impronta ecologica degli sprechi alimentari per promuovere scelte più consapevoli e responsabili.

Da parte sua, il Food Waste Report 2024 redatto dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (United Nations Environment Programme — UNEP) stima lo spreco alimentare globale nell’ultimo anno in 931 milioni di tonnellate, con la maggior parte proveniente dalle famiglie (61%), seguite dai servizi di ristorazione (26%) e dal commercio al dettaglio (13%).

Uno spreco di proporzioni simili indubbiamente contribuisce alle emissioni di gas serra e rappresenta una sfida globale che coinvolge tutte le fasi della catena di approvvigionamento. Il rapporto dell’UNEP sottolinea altresì l’importanza delle partnership pubblico-private per ridurre lo spreco alimentare e promuovere soluzioni sostenibili.

Allarmanti anche i dati diffusi dalla FAO, secondo cui lo spreco alimentare riguarda ogni anno oltre un terzo del cibo prodotto nel mondo: un fenomeno difficile da contrastare e diffuso lungo tutta la filiera, dalla produzione alla lavorazione, dal trasporto alla vendita, fino alla conservazione e all’uso del cibo nelle nostre case.

Nei paesi più sviluppati, ingenti quantità di cibo ancora buono sono scartate senza fondate ragioni — ossia: sprecate — direttamente dai consumatori, mentre nei paesi in via di sviluppo le perdite si concentrano durante le fasi intermedie di produzione e conservazione.

In termini d’impatto ambientale, sprecare cibo significa anche depauperare le risorse impiegate per produrlo: energia, acqua e terreno. La produzione alimentare eccedente il consumo comporta anche uno spreco di combustibili fossili, ancora oggi molto impiegati nelle fasi di coltivazione, trasporto e lavorazione delle derrate.

Per giunta, i rifiuti alimentari accumulati nelle discariche producono gas che incrementano l’effetto serra, le cui emissioni sono stimate dalla FAO in 3,3 miliardi di tonnellate di CO₂ equivalente. Se lo spreco alimentare fosse uno Stato, sarebbe al terzo posto fra quelli che producono più emissioni, dopo Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese.

Al netto dei problemi ambientali, lo spreco alimentare pone anche seri quesiti su salute e giustizia sociale, in un mondo diviso tra chi si ammala e muore perché mangia troppo e chi non mangia abbastanza per garantirsi un’esistenza salubre.

Alla luce delle criticità esaminate, nel settembre 2015, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, includendo fra i 17 obiettivi anche quello di dimezzare lo spreco pro capite globale di rifiuti alimentari nella vendita al dettaglio e da parte dei consumatori finali, riducendo altresì le perdite di cibo lungo le filiere di produzione e fornitura, comprese le perdite post-raccolto, entro il 2030.

Varie opzioni sono disponibili per ridurre lo spreco alimentare: in primo luogo, investire in infrastrutture per la conservazione post-raccolta e aumentare la consapevolezza dei consumatori. Inoltre, il cibo a rischio di spreco può essere destinato ad associazioni di beneficenza, che se ne servono direttamente, per esempio nelle numerose mense per poveri, o li distribuiscono ai più bisognosi sotto forma di spesa.

Peraltro, il cibo non più adatto al consumo umano può essere ancora impiegato come nutrimento per il bestiame, in alternativa ai comuni mangimi per animali. Tuttavia, la soluzione migliore resta quella di tarare la produttività di coltivazioni e allevamenti in base ai reali bisogni, così da evitare sovrapproduzioni destinate a essere distrutte o a rimanere invendute.

In sintesi, ridurre lo spreco alimentare non solo comporta benefici economici, ma contribuisce a preservare le risorse naturali, promuove la sostenibilità ambientale e riduce le diseguaglianze sul piano sociale.

Carmine Feliciano Milone
Tecnologo alimentare
Direttore, GoodFood Consulting


Riferimenti

  • Jia X, Schneider F, Ning M, Ding J. Aesthetic grading causes food losses without financially benefiting farmers: Micro-level evidence from China’s fresh apple supply chain. Waste Management & Research. 2024;0(0). doi:10.1177/0734242X241280097
  • Rapporto internazionale Waste Watcher 2024: “Lo spreco alimentare nei Paesi del G7: dall’analisi all’azione” t.ly/d2ga4
  • United Nations Environment Programme (2024). Food Waste Index Report 2024. Think Eat Save: Tracking Progress to Halve Global Food Waste.  https://wedocs.unep.org/20.500.11822/45230
  • UN General Assembly. Transforming our world : the 2030 Agenda for Sustainable Development. A/RES/70/1, 21/10/2015. t.ly/KesAb