Proteine entomoderivate, ottenute da insetti appositamente allevati, essiccati e ridotti in polvere: secondo gli esperti, possono sostituire senza problemi le fonti proteiche attuali, notoriamente insufficienti a sfamare la futura crescente popolazione mondiale e tutt’altro che ecosostenibili.
Innumerevoli studi confermano che gli alimenti a base di «farina d’insetto», a parità di peso, sono più nutrienti e salutari rispetto alle consuete fonti proteiche animali, cioè carne, uova e latticini. Perfino sul piano ecologico le entomoproteine sarebbero da preferire, in quanto l’allevamento degli insetti approvati per il consumo umano comporterebbe un impatto minimo sull’ambiente, specie in confronto all’allevamento dei bovini.
Tutto ciò però non è stato sufficiente a convincere il pubblico — soprattutto quello occidentale — il cui entusiasmo al pensiero di mangiar grilli secchi è stato finora piuttosto contenuto. Razionalità e gusti personale non sempre vanno a braccetto; e al gusto — come al cuore — non si comanda.
Peraltro, l’esitazione o la franca resistenza ad accettare alcuni cibi è un fenomeno vecchio come il mondo.
Si suol dire che Roma realizzò la sua prima espansione territoriale più col farro che col ferro, a indicare l’importanza del farro nell’alimentazione del legionario e, in generale, della gente comune. Eppure, non appena tale espansione — principalmente la conquista dell’Egitto, futuro «granaio» dell’Impero — rese disponibili grandi quantità di frumento comune, esso divenne subito la fonte quasi esclusiva di carboidrati in tutto l’impero; e lo è tuttora, almeno in Europa.
Il farro si coltiva ancora ma il suo impiego è ristretto alla cucina regionale e — diciamolo francamente — pochi ne sentono la mancanza nell’alimentazione di tutti i giorni. Nonostante le ottime caratteristiche nutrizionali e salutistiche, il sapore è quello che è: non sgradevole in sé, ma piuttosto forte, un po’ «legnoso», paragonato infatti alla nocciola; appunto, interessante in alcune ricette della tradizione, ma poco in linea con le preferenze contemporanee.
Nella dotazione mensile del legionario figurava anche l’orzo, talmente «apprezzato» da esser parte delle sanzioni comminate al militare sottoposto a consegna disciplinare, il quale doveva farsi il pane con l’orzo anziché col frumento sino al termine della punizione.
Poco importa che anche l’orzo, come il farro, abbia ottime proprietà nutrizionali: il 70 % della produzione mondiale è tuttora impiegato come mangime per animali; il restante 30 %, per produrre birra e whisk(e)y… e qualche surrogato di caffè al bar.
Analogamente, le proteine entomoderivate offrono incontestabili vantaggi sul piano strettamente tecnico (valore nutrizionale, salubrità, impatto ambientale), ma ciò non basta a superare il principale ostacolo alla loro adozione di massa: il disgusto.
Non è solo neofobia alimentare, cioè generica paura o diffidenza verso nuovi alimenti, ma qualcosa di più viscerale, non totalmente razionalizzabile, come evidenziato durante il XXXI Congresso europeo sull’obesità (ECO 2024), tenutosi a Venezia dal 12 al 15 maggio 2024.
Nell’occasione, ricercatori dell’Edge Hill University (Regno Unito) hanno presentato uno studio condotto su 603 adulti, secondo il quale il disgusto sarebbe ancora la causa principale del rifiuto di mangiare insetti, con picchi differenti a seconda del profilo demografico in esame. ¹
Solo il 13 % degli intervistati accetterebbe di mangiare insetti, mentre la netta maggioranza si aspetta che essi abbiano un sapore poco attraente, associato a livelli eccessivi di salato, amaro e saporito (umami).
È interessante che il disgusto «in sé» risulti più acuto nei confronti degli insetti in polvere rispetto a quelli interi, mentre i livelli di disgusto associato al consumo alimentare sono invertiti: la minoranza disposta in tal senso, infatti, preferirebbe cibi in cui gli insetti siano presenti sotto forma di materia prima — di «farina», insomma — e quindi non più riconoscibili come tali.
La correlazione statistica fra età e propensione al consumo d’insetti è controversa rispetto a quanto finora acquisito in letteratura: secondo lo studio in esame, i giovani sarebbero i più tenaci oppositori, mentre consimili ricerche condotte in precedenza suggeriscono che l’avversione al consumo di insetti aumenti con l’età.
La patente inconcludenza dei dati su questo punto complica l’individuazione del cliente-tipo: a chi deve rivolgersi la strategia promozionale? Quali canali impiegare? Senza dati certi sul versante demografico-anagrafico, è difficile rispondere a tali quesiti.
Non è nostro compito suggerire agli uffici marketing come convincere Mario Rossi — o John Doe, in questo caso — a rimpiazzare il muscolo di manzo con i grilli secchi, né è detto che ciò sia possibile, per le stesse ragioni per cui farro e orzo, così buoni e salutari, non hanno mai avuto la grandiosa rentrée che logicamente dovrebbero avere se le scelte dei consumatori fossero sempre e interamente razionali.
L’alimentazione non è solo nutrimento: è natura e cultura, storia e tradizioni, anche familiari. Le dinamiche dei flussi migratori dimostrano come anche dopo molte generazioni e un’integrazione di successo, gli ultimi legami con le proprie radici a perdersi — e non è detto che accada — sono proprio quelli alimentari.
Gli statunitensi di ascendenza italiana in genere parlano solo inglese, ma in casa spesso continuano a cucinare come faceva la «nona», ella stessa nata e cresciuta negli States ma istruita da una «nona» nata a fine Ottocento in Abruzzo o Campania, Veneto o Liguria… È difficile convincere queste persone ad abbandonare sapori e colori che li connettono a memorie e usanze altrimenti condannate all’oblio del tempo e della distanza geografica.
Senza dubbio, l’introduzione di materie prime entomoderivate richiederà tempi lunghi e un adattamento tortuoso, a partire da modeste sostituzioni d’ingredienti secondari in ricette dove predominano materie prime conosciute e accettate.
Solo in un secondo tempo si potrà pensare di proporre al pubblico cibi ad alto tenore di proteine d’insetti, sempre evitando di «profanare» i piatti della tradizione e, per esempio, orientandosi al mercato dello sport e del dimagrimento, ma anche dei cibi speciali per chi soffre di allergie e intolleranze.
Serve dunque gradualità ma anche rispetto per i fattori non riconducibili al mero ambito tecnico-nutrizionale: i limiti di questo rispetto alla complessità umana portano inevitabilmente all’estremismo ideologico, il quale — vedi caso del veganesimo militante — mal predispone il pubblico a valutare nuove proposte.
Tuttavia, ridurre o almeno contenere il consumo pro capite di carne è una priorità, per il bene del genere umano come dell’ambiente in generale: i settori legati all’industria della carne — dall’allevamento alla distribuzione — sono all’origine di massicce emissioni di gas climalteranti in atmosfera così come dell’(ab)uso delle riserve idriche; e, per usar un termine oggi in voga, sono estremamente energivori.
In questo senso, le entomoproteine non possono essere ignorate come opzione per sostituire parte della quota proteica nella nostra dieta, al pari di proposte ormai acquisite anche a livello culturale, come il rilancio di legumi e semi oleosi, visti non più come fonti proteiche «di serie B» imposte dall’indigenza, ma come scelta salutare e vincente. Le istituzioni devono quindi facilitare un’informazione puntuale e onesta sulle proteine d’insetto, in sinergia con il mondo scientifico e le industrie di settore.
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¹ H. Zaleskiewicz, E. Kulis, M. Siwa, Z. Szczuka, A. Banik, F. Grossi, P. Chrysochou, B.T. Nystrand, T. Perrea, A. Samoggia, A. Xhelili, A. Krystallis, A. Luszczynska. “Geographical context of European consumers’ choices of alternative protein food: a systematic review.” Food Quality Preference, 117 (2024), 105174. https://doi.org/10.1016/j.foodqual.2024.105174