Attese norme chiare su modalità e responsabilità dei controlli: a chi spetterà controllare? E chi controllerà i controllori?
Con l’apposita raccomandazione (UE) 2022/1342 del 28 luglio 2022, la Commissione europea ha sollecitato gli Stati membri dell’UE a monitorare i livelli di mercurio inorganico e metilmercurio in pesci, crostacei e molluschi dal 2022 al 2025 (anno in cui, presumibilmente, saranno emanate nuove norme).
Il metilmercurio (CH₃Hg+, talvolta abbreviato «MeHg+») è un catione organometallico particolarmente tossico, composto da un gruppo metile (CH₃¯) legato a uno ione mercurio (II). Essendo carico positivamente, il metilmercurio si combina facilmente con anioni come il cloruro (Cl¯), l’ossidrile (OH¯) e il nitrato (NO₃¯) legato a uno ione mercurio (II). Essendo carico positivamente, il metilmercurio si combina facilmente con anioni come il cloruro (Cl¯), l’ossidrile (OH¯) e il nitrato (NO₃¯); inoltre, presenta affinità elevata per anioni contenenti zolfo e, in particolare, per il gruppo −SH dell’amminoacido cisteina (C₃H₇NO₂S). L’elevata pericolosità del metilmercurio è anche dovuta alla facilità con cui si diffonde nell’ambiente.
Richiamando, in particolare, le disposizioni di cui all’articolo 292 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la Commissione auspica un monitoraggio ad ampio spettro, che includa tutte le specie di pesci, crostacei e molluschi rappresentativi delle abitudini di consumo locali.
La raccomandazione, siglata dal Commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare, la cipriota Stella Kyriakides, specifica che dovranno essere monitorati tanto i prodotti ittici d’allevamento quanto quelli catturati allo stato selvatico.
Spetta agli Stati membri elaborare «consigli specifici nazionali» in materia di consumo di prodotti ittici, «al fine di conseguire pienamente gli effetti benefici» associati a tali alimenti «e limitare, nel contempo, i rischi dovuti alla tossicità del mercurio».
Tali «consigli», elaborati dunque su base nazionale e non comunitaria, dovrebbero consentire di determinare la frequenza del consumo locale di prodotti ittici e delineare un quadro preciso delle specie consumate.
Seguono ulteriori disposizioni di supremo interesse per gli operatori del settore alimentare (OSA), le persone fisiche o giuridiche responsabili di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare nelle imprese alimentari poste sotto il loro controllo.
Afferma infatti la raccomandazione: «Gli Stati membri, gli operatori del settore alimentare e gli altri soggetti interessati devono comunicare in modo continuativo i consigli specifici nazionali agli operatori sanitari pertinenti e ai consumatori, collaborando con i gruppi di consumatori più a rischio».
Ai singoli Stati membri spetta altresì notificare i rispettivi «consigli specifici nazionali» sia alla Commissione europea sia all’Autorità europea per la sicurezza alimentare (European Food Safety Authority – EFSA), descrivendo anche le azioni intraprese su base nazionale per comunicare tali consigli «tanto ai consumatori quanto agli operatori sanitari pertinenti».
Senza specificare i rispettivi campi e limiti d’azione, la Commissione europea raccomanda congiuntamente a Stati membri e OSA di riferire periodicamente all’EFSA in merito alla presenza di mercurio totale e di metilmercurio nei prodotti ittici, separatamente per quelli d’allevamento e quelli da cattura allo stato selvatico.

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La raccomandazione cita come riferimento scientifico il parere dell’EFSA del 22 novembre 2012 sulla presenza di mercurio e metilmercurio negli alimenti, confermando le seguenti dosi settimanali tollerabili (Tolerable Weekly Intakes – TWI):
- mercurio inorganico: TWI ≤ 4 µg Hg/kg di peso corporeo;
- metilmercurio: TWI ≤ 1,3 µg Hg/kg di peso corporeo.
Il parere dell’EFSA stabilisce altresì che l’esposizione alimentare al 95° percentile è prossima o superiore ai TWI citati per tutte le fasce di età. I soggetti che consumano elevate quantità di pesce, fra i quali figurano spesso anche donne in gravidanza, si trovano ad assumere fino a 6 volte i TWI. I feti costituiscono il gruppo più vulnerabile.
Nel riconoscere l’estrema pericolosità del mercurio e ancor più del metilmercurio per la salute umana, l’EFSA consiglia nondimeno di tener conto degli effetti benefici derivanti dal consumo di pesce e crostacei come fonte proteica di qualità, come ribadito nel parere del 27 giugno 2014. L’EFSA ricorda infatti che consumare 1-2 porzioni di prodotti ittici a settimana e fino a 3-4 porzioni durante la gravidanza è associato, in alcuni studi scientifici, a migliori esiti funzionali dello sviluppo neurologico dei bambini rispetto al mancato consumo di prodotti ittici. Tali quantità sono state anche associate a una riduzione del tasso di mortalità per coronaropatie negli adulti.
D’altro canto, il 19 dicembre 2014, la stessa EFSA ha adottato una dichiarazione sui benefici del consumo di pesce e molluschi rispetto ai rischi del metilmercurio contenuto in detti alimenti, concludendo che i benefici derivanti dal consumo di prodotti ittici non possono prescindere dall’impegno a ridurre per quanto possibile l’assunzione di prodotti ittici ad alto contenuto di mercurio.
Fin qui, nulla da eccepire sulle intenzioni e i principi generali enunciati dalla Commissione europea. Tuttavia, se è condivisibile che gli Stati membri debbano monitorare la presenza di mercurio in pesce, crostacei e molluschi, come dovranno farlo in pratica?
È difficile inquadrare la logica con cui l’UE, un’organizzazione nata appositamente per «unire» l’Europa, anche uniformandone leggi e parametri, di fronte a un dossier delicato come quello del mercurio lasci ai singoli Stati la libertà di regolarsi come meglio credono, salvo poi affidarsi ai dati che gli stessi singoli Stati forniranno per stilare un rapporto consolidato e, in una prospettiva di più lungo termine, elaborare una legge vincolante per tutti.
Per esempio, a chi spetterà il compito di eseguire controlli più frequenti e severi di quelli attuali? Nel nostro dovrebbero occuparsene le varie ASL, USL, AUSL, ATS e consimili autorità sanitarie. L’interrogativo è se vi riusciranno, considerando che, in molti casi, il loro organico è sottodimensionato rispetto ai compiti d’istituto.
È poi insoddisfacente il tenore verbale dell’espressione «gli Stati membri, gli operatori del settore alimentare e gli altri soggetti interessati», come se gli OSA fossero un’entità monolitica, riunita sotto una direzione centralizzata, e non migliaia di figure scollegate fra loro e quotidianamente alle prese con realtà e difficoltà una diversa dall’altra.
Quanto, poi, agli «altri soggetti interessati» – stakeholders, secondo la versione inglese – sarebbe utile capire a chi si riferiscano la signora Kyriakides e i suoi colleghi: allevatori ittici, settore pesca, tecnologi alimentari, associazioni dei consumatori…? Perché, ad applicare lato sensu il concetto di «detentore d’interessi» nel dossier della sicurezza alimentare, si fa presto a coinvolgere SSN, NAS, regioni, province, comuni, vigili urbani e… chiunque.
Un altro aspetto che meriterebbe più chiarezza è il controllo sui controllori: la raccomandazione della Commissione europea non prevede infatti esplicitamente una fase di verifica e riscontro dei dati provenienti dai singoli Stati; fase invece quanto mai opportuna, non solo per accertare la veridicità dei dati in sé, ma anche per definire un criterio omogeneo e rendere i dati dei vari Stati fruibili e confrontabili tra loro.
Affermiamo tutto ciò senza volontà di polemica fine a sé stessa: siamo professionisti del settore, ci viviamo e ne viviamo, e sappiamo quanto sia difficile districarci perfino quando le norme europee ci sono e sono chiarissime. Anche in quei casi, il «sistema Italia» sa creare il proverbiale ginepraio di conflitti di competenze, fra autorità nazionali e locali, ciascuna gelosa del suo fazzoletto di potere; per non parlare dell’incredibile disparità d’interpretazione del medesimo testo di legge fra una regione e l’altra, tanto che gli stessi valori analitici possono essere giudicati idonei – poniamo – in Lombardia e non in Campania, o viceversa.
Non nascondiamoci dietro un dito: la frequenza delle analisi del mercurio in Italia è largamente al di sotto di ciò che sarebbe utile e necessario, e lo stesso può dirsi per altri metalli pesanti. Al di là delle cortesi raccomandazioni che ci arrivano da Bruxelles, è ora di affrontare questo dossier e aumentare i campioni prelevati, non perché «ce lo chiede l’Europa», come si usa dire, ma perché è davvero il caso di farlo.
Infine, è indispensabile chiarire i doveri degli OSA coinvolti nel monitoraggio del mercurio. Troppo spesso sugli OSA gravano importanti responsabilità civili e penali, legate ai rischi per la salute dei consumatori, ma in cambio non si riconoscono a tali operatori poteri e prerogative commisurati. Nel caso in questione, per esempio, sarebbe auspicabile che gli stessi OSA decidano di eseguire analisi più frequenti, facendo corrispondere a tale impegno fondi specifici o uno sgravio fiscale ad hoc, così da agevolare il circolo virtuoso dei controlli e non limitarsi a sanzionare piani di campionamento insufficienti, attuati soltanto per la salvaguardia patrimoniale della società.
La soluzione più idonea, dal nostro punto di vista, parte dal richiedere a Bruxelles linee-guida precise e vincolanti, fin dall’inizio comprensive di un meccanismo di controllo sull’operato dei singoli Stati e di una chiara tabella di marcia. In fase attuativa, ci sentiamo di auspicare un impegno lineare da parte delle istituzioni nazionali, senza conflitti di attribuzione né altre «sabbie mobili», assegnando con precisione compiti e prerogative e, possibilmente, riconoscendo agli OSA un ruolo attivo di collaborazione.
Carmine F. Milone
Fonti:
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32022H1342&from=EN
https://www.efsa.europa.eu/en/efsajournal/pub/2985
https://www.efsa.europa.eu/it/efsajournal/pub/3761
https://www.efsa.europa.eu/en/efsajournal/pub/3982
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:12012E/TXT