Norme ribadite e precisate nel 2022 dalle autorità danesi puntano a sradicare il fenomeno delle false dichiarazioni di sostenibilità ambientale. Prevedibile maggiore severità anche in Italia.
La tutela dell’ambiente e la sostenibilità dei processi produttivi sono temi di primario interesse non più solo per la comunità scientifica e i decisori politici, ma anche per i responsabili del marketing in ambito aziendale. Il grado di ecocompatibilità e sostenibilità di un prodotto costituisce infatti una forma di plusvalore altamente spendibile soprattutto fra i consumatori giovani e quelli a più alta scolarizzazione, i quali spesso dispongono di una capacità di spesa superiore alla media.
Al di là del potenziamento delle vendite, una «patente verde» associata a un’intera realtà produttiva è un’arma comunicativa in grado di migliorare il prestigio sociale del marchio e la desiderabilità dei prodotti che lo portano.
Date le importanti implicazioni del dossier ambientale, non sorprende che talune realtà forzino la mano pur di attribuirsi parametri di ecocompatibilità, riduzione delle emissioni e adozione di procedure ecovirtuose assolutamente sovrastimati rispetto alla realtà, se non platealmente falsi.
La malpratica di tali dichiarazioni, incomplete o mendaci, è nota come greenwashing, letteralmente «lavaggio (col) verde»: le aziende ingannano i propri consumatori e l’opinione pubblica, ma anche le autorità preposte alla tutela ambientale, dando l’impressione di aver «fatto pulizia» a livello produttivo, operativo e logistico, per ridurre o eliminare determinate fonti d’impatto ambientale, risultando così più «verdi».
Il cavallo di battaglia, in quest’ambito, è il contrasto alla carbon footprint, ossia alle emissioni di CO₂ associate all’operatività aziendale: si tratta dell’anidride carbonica emessa non solo per produrre un certo bene, ma anche per imballarlo, distribuirlo, farlo funzionare (si pensi a un’autovettura o a una caldaia) e, infine, per demolirlo ed eventualmente riciclarlo.
Valutare correttamente le emissioni di CO₂ come di qualunque altro inquinante richiede una complessa valutazione del ciclo di vita del bene, ufficialmente denominata Life Cycle Assessment (LCA), metodologia per la quale esistono numerosi disciplinari specifici per settore, così come la norma internazionale ISO 14040 ff. Si tratta di un apparato documentale vastissimo, in cui confluiscono decenni di studi scientifici, leggi, regolamenti e relative disposizioni attuative.
Per un serio studio di ecocompatibilità ed ecosostenibilità sulla base di un LCA non basta scaricare una tabella da internet e autocertificarsi «azienda verde». Serve invece una squadra di esperti indipendenti e aggiornati, per un servizio al top di gamma.
L’Italia e l’Europa si stanno muovendo per contrastare il greenwashing, anche se manca una direzione di manovra comune. Tuttavia, recenti sviluppi in altri paesi potrebbero far da traino a un’azione legislativa comunitaria.
Il caso della Danimarca —paese all’avanguardia nella tutela ambientale e nella promozione delle rinnovabili— è emblematico: nonostante la serietà e l’onestà che percettivamente associamo alle società scandinave, innumerevoli indagini condotte dalle autorità danesi —in particolare, l’Autorità di tutela del consumatore (Forbrugerombudsmanden) e l’Autorità di monitoraggio finanziario (Finanstilsynet)— rivelano che il greenwashing è diffuso e non risparmia nemmeno alcuni soggetti pubblici.
A titolo d’esempio, un settore merceologico spesso sotto i riflettori è l’abbigliamento promosso come «equo e sostenibile». Fra i casi noti vi è la collezione Conscious di H&M: il marchio si presenta rispettoso dell’ambiente, anche alla luce dei programmi di riciclo attivati in vari punti-vendita, ma tali iniziative non rappresentano l’azienda nel suo insieme. Nel 2016, lo stesso Henrik Lampa, Development Sustainability Manager di H&M, ammise che solo lo 0,1% degli abiti destinati al riciclo erano stati effettivamente riciclati.
Verso la fine del 2021, l’Autorità danese di tutela del consumatore —dopo alcune norme emanate fin dal 2014— ha presentato una serie di casi giudiziari per illustrare le linee-guida cui le imprese dovranno attenersi per un marketing ambientale rispettoso dei consumatori. Il principio di base è che qualsiasi affermazione di ecocompatibilità e sostenibilità dev’essere validata da un LCA.
L’Autorità ha disposto altresì che anche le implicazioni sanitarie, sociali ed etiche di produzione e commercializzazione siano tenute in considerazione nell’LCA.
Alle aziende, cui spetta l’«onere della prova», si raccomanda di essere «il più precise possibile nell’attribuire caratteristiche positive a un prodotto», pena pesanti sanzioni per marketing ingannevole.
La legge danese sul marketing è infatti severa contro i comportamenti che, pur non dannosi per la salute del consumatore, ledano il clima di fiducia reciproca e diffusa che è il vero collante delle società scandinave. Mentire al consumatore è visto come una minaccia all’armonia e al benessere della società nel suo insieme.
Il garante danese ha definito quattro condizioni per attribuire a un prodotto una caratteristica positiva sul piano ambientale:
- la caratteristica non può essere marginale/irrilevante nel ciclo vitale del bene o servizio;
- la caratteristica non può scaturire da azioni o processi che danneggino l’ambiente;
- la caratteristica non può essere associata in modo strutturale ad altre caratteristiche dannose per il clima o l’ambiente.
Da quanto sopra deriva che i prodotti di settori notoriamente e irreversibilmente inquinanti, per esempio i combustibili fossili, non possano essere commercializzati come «ecocompatibili».
E infine:
- la caratteristica non può essere abituale, ossia attribuibile a tutti i prodotti simili di una certa categoria merceologica.
A corollario del quarto principio, l’Autorità danese ha sottolineato che una caratteristica positiva sul piano ambientale non può costituire affermazione di marketing lecita se si tratta del mero rispetto dei parametri minimi di legge. In altre parole, per presentarsi come eco-friendly non basta aver fatto il proprio dovere ed essere bravi: bisogna essere molto bravi, possibilmente eccellenti.
Inoltre, le affermazioni promozionali andranno aggiornate con regolarità, specie se esposte a precoce obsolescenza a causa di progressi tecnici o cambiamenti normativi.
A fronte di aziende che affermano di «operare in modo sostenibile» senza specificare i parametri adottati, l’Autorità di tutela del consumatore ha definito la sostenibilità come l’insieme delle condotte, delle tecnologie e delle procedure che soddisfino «i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni». In sostanza è il principio affermato nello studio Our Common Future del 1987, il cosiddetto Rapporto Brundtland. Ne consegue che non basta un buon risultato hic et nunc: per rivendicare una «coscienza verde», l’impegno dev’esser inquadrato in un’ottica di lungo periodo.
L’Autorità danese ha evidenziato casi di greenwashing anche nella comunicazione visiva a tema ambientalista, caratterizzata da immagini, simboli, disegni, colori, parole o interi slogan volti a convincere il consumatore che il prodotto o l’azienda in questione siano «più verdi» della concorrenza. I casi di palese «azione seduttiva» sono innumerevoli, ma quelli puramente grafici sono più difficili da sanzionare, poiché non affermano ma alludono, quindi non infrangono specifiche norme della legge danese.
Nei primi mesi del 2022, l’urgenza di contrastare il greenwashing è stata ancor più sentita a livello istituzionale, tanto che l’Autorità danese di monitoraggio finanziario ha fatto proprie le raccomandazioni dell’Autorità di tutela del consumatore, estendendole a banche, assicurazioni e, in generale, ai soggetti operanti nella gestione patrimoniale.
Brarup Damgaard, capo del nuovo ufficio Environmental Social Governance (ESG) dell’antitrust danese, ha promesso che i tre strumenti sanzionatori a disposizione dell’Autorità —avvertimento, ammonizione, ingiunzione— saranno utilizzati anche per penalizzare la comunicazione ingannevole a tema ambientale.
Anche l’Autorità di monitoraggio finanziario ha evidenziato la necessità di sostanziare ogni affermazione di compatibilità e sostenibilità ambientale con un LCA, evitando messaggi vaghi, allusivi o fuorvianti. Viene dunque sancito senz’ambiguità il ruolo dell’LCA come valutazione affidabile degli impatti ambientali associati a un prodotto o un servizio, dall’acquisizione delle materie prime fino all’eventuale smaltimento: from cradle to grave, «dalla culla alla tomba»; o, in ottica circolare, from cradle to cradle, «dalla culla alla culla».
L’importanza del caso danese risiede nelle prevedibili ripercussioni che avrà a livello europeo, anche perché le iniziative dell’Autorità di tutela del consumatore partono in risposta a uno studio della Commissione Europea del gennaio 2021, realizzato sulla base dell’analisi di siti web aziendali contenenti dichiarazioni di sostenibilità (green claims) di prodotti e servizi. Nel 37% dei casi, tali dichiarazioni si sono rivelate «fuorvianti» poiché basate su affermazioni vaghe e generiche; nel restante 59%, le dichiarazioni erano addirittura «del tutto prive d’informazioni oggettive e dati a sostegno».
L’azione normativa della Danimarca non è quindi un caso isolato, ma la prima iniziativa forte a livello nazionale per far fronte a un vuoto legislativo comunitario; per questo merita estrema attenzione anche in Italia, soprattutto da parte degli operatori dei settori alimentare e ristorativo-alberghiero, entrambi di fondamentale importanza per l’economia nazionale.
D’altronde, già il 15 gennaio 2021, circa un anno prima della pubblicazione del vademecum danese, fu l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) italiana a sanzionare con una multa da 5 milioni di euro una multinazionale come ENI per aver pubblicizzato il carburante ENIdiesel+ come capace di ridurre le emissioni di gas serra fino al 40%, dato poi rivelatosi ingannevole.
Il 25 novembre dello stesso anno è poi arrivata un’ordinanza del Tribunale di Gorizia —primo provvedimento in Italia a livello giudiziario— con la quale la magistratura ha accolto il ricorso presentato dalla tessile milanese Alcantara per fermare la comunicazione green della rivale Miko, rea di aver ingigantito i benefici ambientali del suo prodotto Dinamica: il caso è tra i primi nell’UE e, assieme a quelli portati alla ribalta in Danimarca, potrebbe fare scuola.
Nel dispositivo dell’ordinanza, il Tribunale ha riconosciuto che «la sensibilità verso i problemi ambientali è oggi molto elevata e le virtù ecologiche decantate da un’impresa o da un prodotto possono influenzare le scelte di acquisto del consumatore»; ciò impone che le dichiarazioni ambientali siano «veritiere, accurate e non fuorvianti, basate su dati scientifici presentati in modo comprensibile».
L’orientamento concomitante della giurisprudenza danese, italiana e di altri paesi europei suggerisce che una svolta sia possibile anche in tempi brevi. Gli operatori lungimiranti dovrebbero prenderne nota e affrontare il tema ambientale nella propria comunicazione aziendale nei modi più adeguati.
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Carmine F. Milone
Fonti:
- https://www.csqa.it/Sostenibilita/News/Greenwashing,-in-Danimarca-claim-sulla-sostenibili
- https://www.magnussonlaw.com/news/combatting-greenwashing-in-denmark-new-guidance-from-the-consumer-ombudsman/
- https://www.denimsandjeans.com/news/denmark-strives-against-greenwashing-with-new-guidelines/54281
- https://amwatch.com/article14143279.ece#:~:text=As%20sustainability%20regulation%20falls%20into,not%20live%20up%20to%20rules.&text=Asset%20managers%2C%20banks%20and%20pension,if%20they%20break%20greenwashing%20rules
- https://www.freshcutnews.it/
- https://www.iconaclima.it/italia/politiche/arriva-la-prima-sentenza-italiana-contro-il-greenwashing-maxi-multa-a-eni/#:~:text=L’Autorit%C3%A0%20garante%20della%20concorrenza,servizio%20dal%202016%20al%202019.
- https://renewablematter.eu/articoli/article/greenwashing-ordinanza-storica-dal-tribunale-di-gorizia-ma-la-miglior-cura-e-la-prevenzione