I MATERIALI, PARTE I, RAME E ARGENTO

 

In questo segmento e nel prossimo tratteremo dei materiali più tradizionali fra quelli ancora in uso per costruire strumenti di cottura: argento, rame, ferro e terracotta. Almeno fino alla diffusione dell’alluminio dal secondo dopoguerra in poi, praticamente ogni recipiente atto alla preparazione di cibi è stato realizzato in uno di questi quattro materiali.

 

Argento e rame

Argento e rame sono elementi metallici (simbolo e numero atomico: ₄₇Ag e ₂₉Cu) da tempo immemore estratti e lavorati dall’Uomo. Considerati «preziosi», assieme all’oro, con questo formano la storica triade metallica per la produzione monetaria e gioielliera in ogni tempo e luogo.

Facilmente lavorabili grazie all’elevata malleabilità e duttilità, resistenti agli agenti atmosferici ed eccellenti conduttori (risp. 429 e 390 W m⁻¹ K⁻¹), argento e rame sono tuttora i più prestanti in termini di regolazione fine del calore, sia in «salita» (riscaldamento) sia soprattutto in «discesa» (raffreddamento), caratteristica determinante nelle cotture brevi e nella preparazione di salse, specie se vi è presente l’uovo.

In termini pratici, ovviamente, l’impiego dell’argento è limitato dall’elevato costo del materiale e della manodopera. Al momento, non esistono linee industriali di pentolame in argento massiccio, ma solo produzioni artigianali di nicchia, percentualmente irrilevanti rispetto al mercato globale. Come vedremo più avanti, tuttavia, i progressi della tecnologia hanno riportato in auge l’argento proprio in combinazione con il più economico «cugino» rame.

Rame e argento condividono dunque diversi pregi sul piano fisico e meccanico, ma su quello della sicurezza alimentare non potrebbero essere più diversi: a contatto con gli alimenti, l’argento non rilascia composti tossici per l’organismo umano; inoltre, l’argento è noto fin dall’antichità per le naturali proprietà antisettiche, in particolare contro funghi e batteri.

Il rame, invece, è potenzialmente pericoloso a causa dell’elevata tossicità di composti rilasciati in presenza di alte temperature e soprattutto d’ingredienti acidi. Anche la semplice esposizione a certe condizioni ambientali di temperatura e umidità, quando lo strumento non è usato per lungo tempo, può favorire la formazione di composti nocivi, come il noto verderame.

I rischi connessi all’uso in cucina di rame non rivestito così come delle sue due leghe principali, il bronzo (rame e stagno) e l’ottone (rame e zinco), sono noti fin dall’antichità. Limitandoci al rame, le soluzioni tradizionali sono in sostanza due: l’accurata pulizia e la stagnatura.

L’accurata pulizia è riservata a tre impieghi storici di recipienti in rame nudo: conche per l’acqua, paioli per polenta, polsonetti per pasticceria. Nel primo caso, se l’acqua ha un basso tenore di minerali e la conca è costantemente rabboccata, la formazione di composti nocivi è limitata e, comunque, in passato era considerata un rischio minore di quelli posti da altri materiali non ossidabili, come le pelli comunemente usate per orci e borracce. Il rame, inoltre, può ammaccarsi ma non s’infrange facilmente come la terracotta, altro materiale storicamente adibito a contenere liquidi sotto forma di vasi e anfore.

Nel caso di paiolo e polsonetto, invece, sarebbe opportuno evitare il contatto diretto degli alimenti con il rame, ma il continuo rimestamento con vari strumenti, per esempio la frusta metallica, rovinerebbe subito l’eventuale stagnatura come pure un rivestimento moderno come il Teflon.

Prima di ogni utilizzo, pertanto, paiolo e polsonetto vanno ispezionati per accertare che non vi siano tracce di annerimento e di verderame. Al minimo sospetto, è indispensabile pulire a fondo l’interno dello strumento con una soluzione acida. Vari espedienti casalinghi sono in uso: semplice aceto o succo di limone, sufficienti a far tornare il rame a un bel colore brillante con riflessi rosati.

La soluzione dei vecchi cuochi –valida anche oggi– è una pasta densa di aceto bianco, sale e farina gialla di granturco. L’unica addizione moderna da consigliare è una comune spugnetta con un lato leggermente abrasivo, per applicare e strofinare la pasta più facilmente. Riportato l’interno al suo originale splendore, lo strumento va accuratamente sciacquato e asciugato, e usato al più presto, prima che la superficie in rame torni a ossidarsi.

Al termine della preparazione, la polenta, la crema o la salsa andrebbero rimosse subito e lo strumento di nuovo pulito e asciugato con cura prima di riporlo. Insistiamo fin nei dettagli di questa operazione perché una trascuratezza anche occasionale potrebbe causare notevoli disagi a chi consumi cibi preparati a contatto con rame non perfettamente pulito.

Tutti gli altri strumenti di cottura in rame, cioè la maggioranza, devono essere rivestiti all’interno con un materiale che possa entrar in contatto con il cibo senza pericoli. Per secoli, l’unico materiale idoneo è stato lo stagno (₅₀Sn), grazie al basso punto di fusione, appena 232 °C, alla facile reperibilità e alla capacità di aderire perfettamente al rame in seguito a un’operazione detta appunto stagnatura.

 

 

Tecnicamente, la stagnatura è una saldatura, per l’esattezza una brasatura forte, ossia una saldatura fra metalli diversi dei quali solo uno raggiunge il punto di fusione. Eseguita dal mastro ramaio o da una figura artigianale oggi quasi scomparsa, il magnano, la stagnatura prevede nella sua forma tradizionale di scaldare alla fiamma lo strumento in rame fino a circa 500 °C, per poi passare all’interno una stecca di stagno vergine, che fonderà immediatamente. Per favorire il decapaggio, si aggiungono flussanti, di solito, a base di cloruro di ammonio (NH₄Cl) o cloruro di zinco (ZnCl₂).

La temperatura di riscaldamento dev’esser elevata per mantenere lo stagno completamente fuso diversi secondi dopo che il pezzo sia stato rimosso dalla fiamma per la fase successiva: la spalmatura. L’operatore, con uno straccio di cotone o, più modernamente, con una sorta di spugna in lana minerale, sparge il metallo fuso fino a rivestire l’interno dello strumento di cottura con pochi micron di stagno. Infine, il pezzo è raffreddato velocemente in acqua, determinando la solidificazione dello stagno.

Se eseguita come sopra descritta, la stagnatura garantisce elevata salubrità della superficie di cottura. Anche la quantità di flussante impiegata è generalmente minima e, comunque, buona parte evapora o resta intrappolata sotto lo strato di stagno.

Pur chimicamente quasi inerte e resistente agli ingredienti acidi e al sale, meccanicamente il rivestimento in stagno teme sia lo sfregamento con spatole e altre stoviglie in metallo, sia le cotture ad alta temperatura, come segnalato nell’introduzione. Si tratta di limiti tecnici legati alla natura stessa del metallo, non alla procedura, che in sostanza è la stessa da millenni. Ciò spiega la progressiva dismissione del rame stagnato dalle cucine professionali, in favore del quasi altrettanto performante multistrato rame-acciaio, del quale tratteremo nel capitolo sui multistrato. 

Per completezza dobbiamo segnalare due tecniche alternative di stagnatura, a nostro avviso inferiori per prestazioni e sicurezza alla stagnatura tradizionale: la stagnatura elettrolitica e la stagnatura a pasta.

La prima sfrutta un bagno elettrolitico che lentamente deposita uno strato di stagno sul rame. Ma tende a essere più sottile e fragile di quella tradizionale. Inoltre, una volta consumatasi, la stagnatura elettrolitica non può essere semplicemente rifatta sopra quella preesistente, ma è necessario rimuoverla completamente ed eseguirla da zero.

La stagnatura a pasta prevede l’uso di una lega di stagno con altri elementi che abbiano la proprietà di abbassare il punto di fusione. In genere, si ricorre a questa tecnica per stagnare rame sottile (< 1,5 mm), che potrebbe deformarsi se scaldato a 500 °C. Tipicamente, si tratta di produzioni di massa non intese per l’uso professionale. Inoltre, la stagnatura a pasta non richiede l’elevata specializzazione e la manualità dell’artigiano esperto, per cui è di gran lunga più economica. Tuttavia, essa è ancor più sensibile allo sfregamento e al calore di quella tradizionale, per non parlare dei rischi alimentari connessi all’uso di paste che possono includere sostanze contaminanti come metalli pesanti.

Infine, alcuni artigiani ramai offrono l’opzione più costosa di rivestire gli strumenti in rame con l’argento (anche qui, con varie tecniche). I vantaggi rispetto alla stagnatura sono due: l’argento, pur essendo un metallo relativamente morbido, è comunque più resistente dello stagno alle sollecitazioni meccaniche; ma soprattutto, l’argento fonde a oltre 960 °C, per cui lo strumento si potrà usare senza problemi anche per cotture al salto e per friggere.

 

In conclusione, lasciando da parte l’argento massiccio, dati il costo proibitivo e la difficile reperibilità, il rame è ancor oggi il metallo più idoneo per le preparazioni in cui sia indispensabile regolare perfettamente il calore. Ciò garantisce al rame un posto d’onore nei settori dell’alta cucina e della pasticceria. Anche numerosi appassionati decidono d’investire in qualche pezzo pregiato in rame stagnato o argentato, soprattutto per il piacere di cucinare in modo classico. Professionisti e amatori, comunque, devono accettarne i limiti funzionali e l’obbligo di un’accurata manutenzione, anche a tutela della salute del consumatore.

L’elevato peso specifico, la delicatezza del rivestimento, il costo comunque elevato del rame e la sua incompatibilità con le piastre a induzione (il rame non è ferromagnetico) sono altri aspetti da considerare prima dell’acquisto di pentolame in rame tradizionale, che comunque rimane, a dispetto dei secoli, il principe dei materiali ad uso culinario.

 

Carmine F. Milone
Tecnologo alimentare

 

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