Ci siamo mai soffermati davvero a pensare a come sarebbe la nostra dieta senza il contributo del nuovo mondo? Ebbene, è importante sapere che [approssimativamente il 60% del cibo consumato oggi globalmente deriva dal nuovo mondo. “Il più grande contributo dei Nativi Americani alla nostra civilizzazione, secondo numerosi esperti, consiste nella paziente coltivazione e domesticazione dallo stato selvatico di piante che rappresentano oggi più della metà del nostro patrimonio agricolo”].[1]

Tra esse una in particolare spicca per le sue caratteristiche e la sua diffusione; il pomodoro.

 

 

Pare che tale pianta origini nella regione montagnosa delle Ande compresa tra Perù, Ecuador e Bolivia. E’ infatti noto anche al grande pubblico che il pomodoro ‘proveniva dall’America meridionale, insieme alla patate, al mais, al tabacco, alle melanzane e ai peperoncini, oltre che a diversa frutta esotica’.[2]

Furono i popoli Sudamericani i primi a coltivarlo e a selezionare le varietà che gli invasori Europei incontrarono. Il suo nome “Pomi d’oro”, affibbiatogli dal Senese Pier Andrea Mattioli deriva infatti dal caratteristico colore giallognolo che caratterizzava i frutti importati dal nuovo continente.

Importata inizialmente in Spagna verso il XVI secolo e, solo successivamente in Italia, questa pianta incontrò una forte diffidenza da parte dei popoli Europei, che la relegarono per diversi secoli a pura funzione ornamentale come fecero per diversi altri prodotti della famiglia delle Solanacee. Inizialmente infatti si pensava che questo frutto provocasse malesseri e disturbi tanto da meritarsi il nome di “Lycopersicum” ovvero “pesca del lupo”. Solo molto più tardi, una volta accertate le sue qualità ottenne finalmente il nome di  “Esculentum” ovverosia squisito.

Bisognerà dunque aspettare il XVIII secolo per vedere il suo uso in cucina, come dimostra ‘uno scritto del 1811 del conte Filippo Re. Il primo ricettario a stampa che accenni alla salsa di pomodoro è del 1839 ed è dovuto a Ippolito Cavalcanti, che descrive in dialetto napoletano i “vermicelli con le pommadore[3].

Nello stesso periodo venne anche realizzato il connubio tra pizza e pomodoro, ma ciononostante l’uso di questo frutto rimase circoscritto al meridione e bisognerà aspettare la produzione industriale dei primi del ‘900 prima di vedere la salsa di pomodoro dilagare sulla tavola degli Italiani.

A seconda della regione, il popolo Italiano ha saputo trarre il meglio da questa pianta, sviluppando tantissime varietà che vanno ben oltre i classici frutti che troviamo al supermercato.
Dopo un’attenta ricerca e selezione, è divenuto oggi possibile recuperare gran parte di queste varietà dalle caratteristiche organolettiche uniche per poterle re-inserire, grazie ad attenti studi antropologici, nei nostri menù.

Esistono migliaia di varietà di pomodoro, alcune delle quali, una volta seminate e sviluppate nel corso degli anni, sono diventate tipiche del territorio italiano: come i San Marzano o i pomodori di Pachino, rispettivamente D.O.P. ed I.G.P.

A livello culinario la tradizione gastronomica italiana è legata a doppio filo con questo splendido frutto regalatoci dal “nuovo continente”. Per quanto largamente utilizzato, riscoprire varietà e pietanze locali legate al territorio di appartenenza potrebbe ricondurci alle origini dei luoghi che visitiamo, facendoci riscoprire sapori e profumi d’altri tempi: perché utilizzare un pomodoro “straniero” quando presente quello “locale”?

 

Lorenzo Terzoli Bergamaschi
                                                         Antropologo

 

Contattaci per ulteriori informazioni in materia

 

 

[1] Park, Sunmin, Nobuko Hongu, and James W. Daily III. “Native American foods: History, culture, and influence on modern diets.” Journal of Ethnic Foods 3.3 (2016): 171-177. [traduzione libera dell’autore]

[2] Delsante, Ubaldo. “La zappa e la caldaia.” I pionieri della col.

[3] Ibidem