Ingredienti di qualità e adeguati processi produttivi sono la chiave per un risultato ottimale
Il consumo di alimenti ghiacciati per alleviare la calura estiva ha una storia plurimillenaria: per limitarci all’Occidente, gli antichi romani preparavano «granite» con neve immagazzinata durante l’inverno e aromatizzata con succhi di frutta, miele o vino. Una leccornia, rara e costosa.
Solo dalla fine dell’Ottocento, con l’avvento della produzione industriale di ghiaccio e, in seguito, delle macchine refrigeratrici, il gelato come oggi lo intendiamo divenne alla portata anche dei meno abbienti.
I consumatori italiani sono fra i più esigenti, data la consolidata tradizione gelatiera del nostro Paese. Artigianale o industriale che sia, il gelato perfetto deve non solo aver un buon sapore, ma presentare una consistenza cremosa e omogenea, per quanto possibile priva di macrocristalli d’acqua, i quali si percepiscono immediatamente all’assaggio e, in genere, risultano alquanto sgradevoli.
Rendere soffice una materia notoriamente dura come il ghiaccio fu la grande sfida raccolta da pionieri come il siciliano Procopio Cutò del Café Procope nella Parigi di fine Seicento. Le diverse tecniche sperimentate hanno dato luogo a preparazioni distinte per gusto e consistenza, precursori in parte del moderno gelato ma soprattutto dei suoi «fratelli», come il sorbetto (di antiche origini mediorientali), il semifreddo all’italiana e il parfait di scuola francese.
A titolo di esempio, parlando di morbidezza e cremosità, essenziali per un’esperienza gastronomica soddisfacente: il moderno gelato sfrutta l’azione meccanica della mantecazione, ossia il rimescolamento continuo operato dalla macchina gelatiera durante la prima fase di raffreddamento della mistura di liquidi –acqua e/o latte– materia grassa ed eventuali solidi (cioccolato, granella, frutta secca, canditi, ecc.).
La mantecazione incorpora aria e, nel contempo, «frantuma» i cristalli di ghiaccio in continua formazione, i quali perciò risulteranno minutissimi. Il delicato equilibrio dell’emulsione è garantito, almeno nella formulazione tradizionale del gelato, proprio dal freddo: alla mantecazione segue infatti un secondo raffreddamento, questa volta statico, con funzione stabilizzante.
L’energia applicata in fase di mantecazione, come pure la durata e la temperatura di tutte le fasi produttive, determineranno tanto quanto gli ingredienti usati la texture e, in ultima analisi, la gradevolezza del prodotto. Anche le condizioni di stoccaggio in post-produzione vanno considerate nel protocollo produttivo. Non a caso, il tipico segno che la catena del freddo non è stata rispettata è un gelato «sgonfio», disomogeneo, duro e, in caso di forzato ricongelamento, invariabilmente infiltrato da macrocristalli d’acqua.
Aria e grana fine, però, sono solo parte dell’equazione. I grassi –in primis la panna– contribuiscono per loro natura a conferire morbidezza all’impasto. Fondamentale poi è lo zucchero, specie se stabilmente unito all’acqua sotto forma di sciroppo o caramello. Anche l’uovo, presente intero o separato (tuorlo/albume) in molti gusti del gelato, conferisce cremosità e stabilità all’emulsione grazie alle sue proteine, esattamente come avviene con altre creme, nonché svariate salse e condimenti salati.
La tradizione offre spunti interessanti: non disponendo di macchinari capaci di raffreddare velocemente e di mantecare, i primi «gelatai» non potevano che ricorrere a generose dosi di zucchero, uova e grassi per mantenere il composto morbido e omogeneo, ma al tempo stesso stabile –– soprattutto alla temperatura di servizio, solitamente di parecchi gradi superiore a quella del gelato.
Da qui nasce il concetto di «semifreddo», declinato nelle varianti del semifreddo propriamente detto, alla base del quale c’è la meringa all’italiana di soli albumi e zucchero; e del parfait francese, preparato invece con pâte à bombe, una crema cotta di tuorli e zucchero. Nel caso del semifreddo, la texture è dovuta all’alto tenore proteico dell’albume; nel caso del parfait, alle proteine ed ai grassi di cui è ricco il tuorlo. In entrambi, lo zucchero è abbondante.
Limitandoci a ingredienti e tecniche tradizionali, pertanto, un gelato poco calorico dovrà per forza essere conservato e consumato molto freddo, pena lo «smontaggio» dell’emulsione, e comunque tenderà a essere più duro e granuloso di un gelato ricco di grassi e zuccheri, stile semifreddo, cioè più calorico ma consumabile a temperature più tollerabili e senz’altro più gradevole in termini di consistenza e grana cristallina.
Fra questi due estremi si pone la tecnologia alimentare, che negli ultimi dieci anni ha in parte rivoluzionato l’assortimento dei cosiddetti «additivi», termine al quale si attribuisce spesso una connotazione negativa non meritata. Sarebbero auspicabili denominazioni più attinenti alla realtà, come «ingredienti alternativi» e «complementari», giacché ormai sdoganati, anzi celebrati grazie all’opera di geni assoluti della gastronomia molecolare come Ferran Adrià e Heston Blumenthal.
Il punto non è ingannare il consumatore somministrandogli «roba chimica» per risparmiare sui più costosi ingredienti «naturali»: le frodi alimentari esistono da sempre, ma esse sono la patologia, non la fisiologia della tecnologia alimentare.
Il punto invece è offrire al consumatore un’esperienza gastronomica soddisfacente tenendo conto anche delle nuove esigenze che si sono via via affermate nella coscienza comune. Fra le quali:
- ridurre l’apporto calorico;
- eliminare ingredienti allergizzanti o indesiderati per scelta ideologica del consumatore, come l’olio di palma, i prodotti di origine animale;
- ridurre l’impatto ambientale dei processi produttivi, introducendo complementi non dannosi per il consumatore ma in grado di garantire un risultato ottimale con minor dispendio di energia e risorse naturali;
- migliorare la conservabilità del prodotto evitando gli sprechi alimentari;
- diversificare l’offerta con nuovi sapori e consistenze, in linea con le più moderne tendenze gastronomiche (si pensi alle sferificazioni di Ferran Adriá con gli alginati);
Per far fronte a queste sfide, il tecnologo alimentare, nella duplice veste di consulente normativo ed esperto in processi, macchinari e qualità del prodotto: partendo da un’attenta valutazione degli obiettivi e dei mezzi a disposizione assiste il cliente –gelateria artigiana o industria alimentare che sia– nel definire ciò che si può fare, migliorare o innovare. Le possibilità sono innumerevoli.
Ad esempio è oggi possibile accontentare chi tradizionalmente doveva rinunciare a gelati e semifreddi per motivi di salute (allergici, intolleranti, diabetici) o per «obiezione di coscienza» (vegetariani, vegani), come pure chi per passione o lavoro desideri sperimentare e innovare.
In ogni caso, è cruciale affidarsi a un partner serio come GoodFood Consulting, che oltre alla consulenza tecnica di base segua tutte le fasi, dallo studio del progetto agli aspetti legislativi, dallo sviluppo del prodotto alla formazione del personale. Un affiancamento a 360 gradi per un risultato d’eccellenza.
Carmine F. Milone
Tecnologo Alimentare
Contattaci per ulteriori informazioni in materia